Venuta la sera, mi ritorno in casa, ed entro nel mio scrittorio; ed in sull’uscio di mi spoglio quella vesta cotidiana, piena di fango e di loro, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito con decentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio; e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno a parlare con loro, e domandoli della ragione delle loro actioni, e quelli per loro humanità
mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, dimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi trasferisco in loro.
Così scriveva Niccolò Machiavelli, contemporaneo di Leonardo Da Vinci, nella lettera rivolta all’amico Francesco Vettori. Il fine consigliere politico raccontava come amava trascorre le sue serate: liberato dal lavoro quotidiano che lo vedeva impegnato con uomini e spiriti, a suo dire, per lo più “modesti”, dismetteva gli abiti del lavoro (quelli che indossiamo anche noi per essere riconosciuti in un ruolo specifico) per indossarne di reali e curiali ovvero si immaginava di frequentare quelle basiliche o palazzi reali dove poteva interrogare, trattandoli da pari, i grandi personaggi classici della storia. A loro chiedeva il cibo della sapienza e della verità e loro, senza farsi pregare e neppure annoiare, glielo dispensavano. Nessuna povertà o paura della morte lo assaliva in quelle quattro ore di godimento, sogno e desiderio.
Questo vorrei che fossero per i nostri lettori le Primavere di ogni anno e specialmente quelle di quest’anno dove incontreremo idee, ideali e personaggi straordinari che ci condurranno nei laboratori segreti degli artisti, nelle selve oscure, a Samarcanda, in Cina, nei pacchi di Amazon e soprattutto a godere dell’amor che move il sole e l’altre stelle.
Diego Minonzio | Direttore de La Provincia