Dal 16 dicembre 2021 al 31 gennaio 2022 il percorso espositivo della Pinacoteca di Como si arricchisce di una nuova importante opera, che si affianca alla collezione permanente del museo.
Si tratta de La caduta degli angeli ribelli, grande dipinto tardo barocco realizzato dal pittore Paolo Pagani (Castello Valsolda, 1655 - Milano, 1716) e concesso in comodato ai Musei civici di Como da Guglielmo e Marianna Poletti, in ricordo del padre Huberto, appassionato conoscitore della pittura lombarda seicentesca.
Un allestimento dedicato nel Salone d’onore, che già ospita le imponenti lunette del Morazzone e del Nuvolone, accoglierà questa grande tela del Pagani, estroso protagonista della pittura tardo barocca tra Venezia, l’Europa centrale e la Lombardia.
Il dipinto, che rimarrà esposto in Pinacoteca per cinque anni, fu realizzato negli ultimi anni del 1600, quando Pagani, rientrato in patria dopo un lungo soggiorno di lavoro in Austria, Boemia e Polonia, affrescò la volta della chiesa di Castello in Valsolda (1696-1697): un capolavoro assoluto della pittura italiana di quegli anni, in cui ritroviamo la sulfurea esibizione di virtuosismo anatomico e l’incandescente temperatura espressiva, sempre al di là dei canoni più consueti, che caratterizza anche la tela della collezione Poletti.
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Orari
Da martedì a domenica dalle ore 10 alle ore 18
Il dipinto raffigura la terribile punizione degli angeli ribellatisi all’autorità divina. L’arcangelo Michele e i suoi compagni irrompono dall’alto sbaragliando con la forza delle armi le schiere dei loro antichi compagni sedotti dal male, in una raffigurazione concitata e pervasa di forza visionaria, tipica della pittura di Pagani.
In un groviglio di corpi che appare “una vera e propria sfida alle leggi gravitazionali” – come scrive Alessandro Morandotti - gli angeli sconfitti precipitano verso l’inferno, con volti incerti tra il terrore e l’impotente rassegnazione per il destino che li attende.
“Più che una caduta nel vuoto - prosegue Paolo Vanoli - come quella raffigurata nella lunetta di Morazzone esposta in questa stessa sala, quello elaborato dalla fantasia visionaria di Pagani, sempre attento a interpretare in chiave personale le iconografie consolidate, è una sorta di ‘ammassamento’, un accumulo claustrofobico di volti e di corpi, in cui la circolazione dell’aria è ridotta al minimo e quello che prevale è il sentimento allucinato della lotta e della dannazione.
L’irruzione dell’arcangelo è accompagnata da un fiotto di lume celeste, che attraversa la tela in diagonale, come il fascio di un proiettore che blocca le spericolate acrobazie dei corpi sottraendole all’ombra eterna cui sono destinate. Per un istante la luce esalta le muscolature ipertrofiche di questi nudi, ne scolpisce le forme e i profili adunchi dei volti, ricordandoci tutta la passione di Pagani per il disegno del nudo, di cui fu uno dei più estrosi interpreti di tardo Seicento, non solo nei suoi fogli di lavoro, di cui conosciamo molti esempi, ma anche sulla superficie delle sue tele e dei suoi affreschi”.